In città puoi trovare di tutto, ma non è di tutto che abbiamo bisogno. Ci servono cose vere, cose precise.

F. Arminio – Vento forte tra Lacedonia e Candela

Non c’è un giorno in cui il borgo è stato creato. Ci sono volute prima due case vicine, poi se ne sono aggiunte altre e dopo un po’ ci siamo trovati insieme. Insieme, contaminati l’uno con l’altro, un po’ più solidi e con il desiderio di condividere le competenze di ognuno. La piazza è un luogo di confronto che ci da identità comune, pur mantenendo e valorizzando le identità individuali. Ci stimola, ci da pensieri nuovi e qualche volta mette in discussione le nostre più solide certezze. Le sue botteghe sono abitate da artigiani dalle più varie abilità, custodi non gelosi di conoscenze al servizio della comunità. Il borgo ha un margine non definito, in qualche modo è uno spazio aperto, in cui chi vuole può venirci ad abitare, può decidere di ingrandirlo, arricchirlo con il suo sapere e la sua intelligenza, sapendo che non diventerà mai un luogo troppo grande. Ma è anche un luogo capace di incontrare, di ospitare chi decide solo di passarci occasionalmente, di creare legami con altri agglomerati più o meno vicini. I suoi edifici e le sue botteghe sono legate da una rete che connette le persone e ci permette di lavorare ognuno dalla propria scrivania, in luoghi diversi, eppur vicini. Il borgo non è un non luogo, non crede nella globalità, pur osservando attentamente cosa accade fuori. Il borgo è attratto dagli ambiti a medio raggio, dai luoghi abbandonati, dalle marginalità, dai luoghi irrisolti, dalle persone e dalla loro vita. Gli abitanti fanno ricerca, imparano, scambiano opinioni e competenze e nelle pause bevono un bicchiere di vino. Il borgo è un esperimento, la cui evoluzione è in divenire.